Sustainability Manager: tra Innovazione e Sostenibilità
Accompagnare l’organizzazione verso una transizione sostenibile. Di cosa si occupa e come nasce l...
Come anticipato nel primo articolo di approfondimento sull’Agenda 2030 e gli SDGs (Sustainable Development Goals), questa serie di brevi articoli vuole essere semplicemente un resoconto dei 17 Goals di questo sfidante programma, fondamentale per noi e per le generazioni future.
Per questo si cercherà di riportare alcuni tra i dati più rilevanti, le principali azioni messe in campo e le proposte lanciate da alcune tra le principali associazioni di riferimento.
Lasciando ad ognuno le proprie considerazioni.
Siamo oggi arrivati al sesto obiettivo strategico dell’Agenda 2030 che riguarda ACQUA E SERVIZI IGIENICO-SANITARI: Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.
Per tutti noi, acqua e servizi igienici, sono costanti della nostra vita, sono scontate.
Compriamo acqua ogni qualvolta ne abbiamo bisogno, spesso la beviamo direttamente dai nostri rubinetti (in quanto potabile), utilizzandola anche in maniera divertente con addizionatori di anidride carbonica e svariati sapori per creare bevande più sfiziose.
E che dire dei servizi igienico-sanitari? Ognuno di noi ha almeno un bagno in casa, almeno uno.
Ciò nonostante, nel luglio 2010, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato per la prima volta nella storia il diritto all’acqua “un diritto umano universale e fondamentale”.
Una dichiarazione che per molti sembrerà scontata: per quale motivo l’ONU ha dovuto emettere questa dichiarazione? Lo ha dovuto fare perché, ancora oggi, nel mondo, c’è chi non solo non ha un servizio igienico o servizi sanitari a disposizione, ma nemmeno acqua da bere. Non ha quello che è, o dovrebbe essere, un bene comune, sostanziale e necessario alla sopravvivenza. Non solo, ogni anno milioni di bambini muoiono per malattie provocate proprio dall’acqua che bevono o dai servizi sanitari ed igienici che ricevono. Tutti evidentemente inadeguati.
Il tutto avviene poi in un “clima” in cui si parla di water grabbing, accaparramento dell’acqua, ossia a quel fenomeno che, come evidenziato dall’ASVIS, vede governi o grandi industrie prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole alle esigenze di comunità locali o di intere nazioni, un fenomeno che ha già dato vita a numerosi conflitti in Medio Oriente, America Latina, Africa e Asia. A causa dell’assenza di accordi internazionali e della poca disponibilità alla cooperazione, l’approvvigionamento idrico rischierà di essere una delle ragioni di conflitto nei prossimi decenni.
Ma proviamo a vedere più da vicino alcune cifre, purtroppo terribili, riprese dal sito delle Nazioni Unite oggi:
Sono numerose le problematiche che portano a questi numeri. Una fra tutte, il fatto che la maggior parte dell’acqua (circa il 70%) estratta da fiumi, laghi e acquedotti è usata per l’irrigazione e nient’altro.
C’è poi la piaga della scarsità d’acqua, subita ancora oggi dal 40% della popolazione mondiale: basti pensare alla terribile situazione in Afghanistan, resa ancora più difficile da una sempre crescente siccità che minaccia da molto tempo la sopravvivenza di oltre 7 milioni di persone che vivono di agricoltura e allevamento.
A questi due aspetti si aggiunge il problema che più di 1,7 miliardi di persone vive ancora in bacini fluviali in cui l’utilizzo d’acqua eccede la sua rigenerazione.
Ma la sostenibilità dell’acqua non è solo un problema legato ai Paesi in via di sviluppo o rurali. Ci sono infatti criticità importanti anche laddove l’acqua viene trattata e reimpiegata: basti pensare che nel 2015 nella rete vi erano perdite dalle tubature del 41% del totale, in peggioramento rispetto al 2012, e che nel 2010 le tubature stesse, nel 60% dei casi, risultavano posate 25 anni prima, tempistica che si raddoppiava nel 25% dei casi.
Oltre a questo, ancora oggi abbiamo molte problematiche che ci portano a dover efficientare processi e metodi: incompletezza degli schemi depurativi (con assenza di alcuni trattamenti o di scarico a mare con condotta sottomarina), problemi di alimentazione degli impianti (con a volte l’assenza di controlli sulle immissioni in fognatura di reflui non domestici o la variazione di portata in ingresso superiori a quelle di progetto) o, ancora, inadeguatezza a volte delle strutture gestionali degli impianti (assenza di idonei apparecchiature di misura, carenza di misure e controlli).
In ultimo, un importante aspetto di connessione tra acqua e lavoro: nel 2010 l’ONU ha evidenziato il forte legame tra occupazione e acqua, che pone l’acqua come componente trasversale all’interno di un concetto di economia circolare, a dimostrazione che la scarsità dell’acqua potesse essere un limite all’evoluzione economica di un Paese.
Un dato solo, fra tutti, sembra essere confortante: tra il 1990 e il 2015 la proporzione di popolazione mondiale che utilizza migliori fonti di acqua potabile è salita dal 76 al 91%.
Per monitorare il cammino verso questi traguardi, sono stati messi in campo questi indicatori:
Negli ultimi 10 anni non vi è stata una variazione significativa del livello relativo a questo argomento in Europa. L’Italia si pone però tra gli ultimi posti.
Chiudiamo guardando un interessante suggerimento creato dal “Progetto sul Cambiamento della Percezione” riguardo le “170 azioni quotidiane per trasformare il nostro mondo”.
Agenda 2030 Goal 1: Sconfiggere la povertà
Agenda 2030 Goal 2: Sconfiggere la fame innovando il sistema alimentare
Agenda 2030 Goal 3: Salute e benessere, diritti universali
Agenda 2030 Goal 4: Istruzione di qualità
Agenda 2030 Goal 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere
Agenda 2030 Goal 7: Energia pulita e accessibile
Agenda 2030 Goal 8: Lavoro dignitoso e crescita economica
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