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A scanso di equivoci, e per ragioni di chiarezza espositiva, è doveroso prendere le mosse dall’atto finale di quella che si è rivelata essere una vera e propria querelle interpretativa, che ha visto come protagonisti incolpevoli gli esperti del settore e le imprese che hanno investito in attività di Ricerca e Sviluppo, incentrata sulla data di decorrenza delle nuove aliquote del credito d’ imposta. Le aliquote maggiorate, introdotte dalla Legge di Bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020), si applicano alle spese ammissibili sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2021.
Fatta questa doverosa premessa, occorre partire dal dato normativo, che in questa vicenda gioca il ruolo di casus belli. Il normatore, con una scelta di politica legislativa discutibile, introduce la nuova disciplina mediante la correzione “ab origine” della vecchia legge di bilancio (legge n.160 del 2020).
Nel dettaglio, la lettera f) del comma 1064 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2021 ha apportato le seguenti modifiche direttamente nel testo del comma 203 dell’articolo 1 della legge n. 160 del 2019, determinando così la già citata maggiorazione delle aliquote del credito d’imposta e del limite massimo del credito d’imposta riconosciuto per ciascun periodo d’imposta, in relazione alle diverse tipologie di attività ammissibili:
Questa scelta di politica legislativa ha spinto molti interpreti a considerare le nuove aliquote valide, non solo per le spese sostenute a partire dal 1° gennaio 2021, ma anche per le spese sostenute nel corso del 2020. Molti altri interpreti invece hanno, sin da subito, colto che l’intento del legislatore non era affatto quello di retrodatare l’entrata in vigore delle aliquote maggiorate, ma che il dubbio interpretativo non fosse altro che un evidente problema di destrezza nel legiferare.
Un primo sintomo della maggiore logicità del secondo filone interpretativo lo si è avuto con le parole di Marco Calabrò, funzionario del MISE, il quale, dopo aver riconosciuto la non piena chiarezza del testo della legge di bilancio, priva di precisi riferimenti temporali, pone l’attenzione sull’esigenza di ragionare in termini sistemici. Il ragionamento non può che partire dall’analisi della relazione tecnica, di accompagnamento alla Legge di Bilancio, che non consentirebbe la copertura dei maggiori costi derivanti dall’applicazione retroattiva delle nuove aliquote e, come ricorda l’autorevole voce, tutti noi sappiamo che una norma priva di copertura finanziaria è incostituzionale.
Calabrò, al fine di rafforzare il proprio convincimento, propone anche un’altra argomentazione, che prende le mosse da ragioni di politica economica. Qualunque misura di politica industriale dovrebbe incentivare le spese in investimenti al fine di produrre effetti addizionali per l’intero sistema economico. Effetti addizionali che, naturalmente, non possono essere retroattivi e riguardare spese già sostenute. Infine, ha ricordato che la questione in oggetto non è di competenza del Ministero dello Sviluppo Economico ma, semmai, dell’Agenzia delle Entrate ed ha, pertanto, auspicato quanto prima un chiarimento mediante risposta a interpello.
Il chiarimento tanto atteso è giunto con la risposta n. 323 all’interpello, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha, come già ampiamente anticipato, definitivamente risolto la questione in favore della non retroattività della normativa precedentemente analizzata.
Infine l’Agenzia sottolinea che non sembra poter assumere portata decisiva la circostanza che il legislatore abbia adottato, sul piano redazionale, la scelta di apportare le diverse modifiche intervenendo direttamente sul corpo della disciplina originaria. La possibilità di desumere da tale tecnica redazionale una sia pur implicita volontà del legislatore di far operare retroattivamente le maggiorazioni di aliquote e importi massimi del credito d’imposta deve comunque del tutto escludersi sulla base della relazione tecnica alla Legge di Bilancio 2021.
LEGGI: Certificazione per il credito d’imposta Ricerca e Sviluppo
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