R&S nel mondo delle due ruote: risvolti sociali ed economici

  • Di Davide De Sensi
    • 30 Giu 2021
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Quando si sente parlare o si legge di Ricerca, Sviluppo ed Innovazione l’immaginario collettivo associa tali termini ad attività a beneficio esclusivo di grandi aziende, istituti accademici, laboratori tecnologici e Centri di ricerca che, molto spesso, vengono considerati lontani dalla realtà quotidiana di ognuno di noi.

La parola “ricerca” indica quel complesso di attività creative intraprese in modo sistematico per incrementare l’insieme delle conoscenze, così che possano essere utilizzate per creare nuove applicazioni.

Tale accezione per cui la Ricerca e lo Sviluppo siano ad appannaggio di un ristretto numero di persone, risulterebbe essere non del tutto corretta considerando che, da un lato, le attività di sperimentazione – che permettono a delle ipotesi di tradursi in prodotti, servizi e processi – necessitano di know-how, prove ed esperienza, dall’altro, i risultati di tali metodologie saranno a beneficio della collettività.

Gli esempi sono molteplici, basti pensare ai progressi raggiunti nei settori delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni, nelle biotecnologie, nella medicina che hanno permesso di dotarci di PC, Telefoni, vaccini, ecc.

In questo articolo, però, a testimonianza di quanto tali attività sperimentali siano vicine ad ognuno di noi, vogliamo affrontare il tema della ricerca su di un bene, la cui diffusione ha conosciuto nell’ultimo anno una nuova ed incredibile rinascita, la bicicletta.

Le nozioni storiche ci permettono di toccare con mano quanto le attività di innovazione e brevetti di nuove componenti siano state fondamentali per il successo delle due ruote.

Secondo alcuni l’idea originale risalirebbe a Leonardo, grazie al ritrovamento di una bozza inclusa nel Codice Atlantico del 1493. Tale bozza si sarebbe evoluta poi col “Celerifero” del 1791 e poi con la Draisina del 1817. Si dovrà attendere il 1861 per visionare l’antenato delle nostre biciclette, il “Velocipede”, anche denominato “cavallo di ferro”, per la posizione molto alta del suo “cavaliere”, ma ancora non propriamente sicuro rispetto al principale mezzo di locomozione, per l’appunto il cavallo.

Per ritrovare un modello simile all’idea che oggi noi tutti abbiamo della bici, è necessario un salto evolutivo con l’avvento nel 1884 della Rover Safety, con cui è stata introdotta la trasmissione a catena.

L’evoluzione dovuta alla sperimentazione di nuove componenti, al miglioramento meccanico, all’utilizzo di nuovi materiali e design continua nel 1888, con la prototipazione da parte di Dunlop del primo pneumatico con camera d’aria.

Le migliorie apportate dai primi freni e pneumatici portarono i progettisti a realizzare ruote di identica misura, realizzare i pedali ed inserire gli ingranaggi, tanto che la fase finale del 1800 venne definita l’età della “follia ciclistica”. Nacquero le bici da donna che permisero di andare verso un primo modello di libertà anche nell’abbigliamento femminile e nei costumi in generale. Furono organizzate le prime gare.

A partire da questo momento, grazie anche alla possibilità di essere condotte sulle strade accidentate e all’accessibilità del prezzo, divennero alla portata della popolazione e conobbero un’incredibile diffusione, divenendo, ad oggi, il mezzo più utilizzato e diffuso nel mondo per svolgere attività quotidiane e sport.

Il progresso tecnologico ha comunque permesso ulteriori e molteplici sviluppi, consentendo di identificare e realizzare nuove categorie differenti rispetto all’originario uso stradale. Una consistente evoluzione si registrò nel 1970 con la dotazione del cambio di velocità ed incremento prestazionale in frenata, aprendo la strada a quella che oggi conosciamo come Mountain Bike.

Sempre in quegli anni, nascevano i primi tentativi di “pedalata ottimizzata”, attraverso tecnologie che sono poi diventate importantissime negli anni a seguire: il cambio “Vittoria”, l’introduzione del tendicatena, il “Campagnolo Corsa” o, per esempio, il deragliatore Simplex per spostare la catena sui pignoni.

La spinta propulsiva alla riscoperta del mezzo a due ruote conobbe un forte alleato nel mercato statunitense, col raddoppio delle vendite di biciclette negli anni ’70. Nacquero le BMX, popolarissime tra i giovani.

Sarà necessario attendere gli anni Ottanta per vedere le prime bici da fuoristrada, lancio avvenuto in Italia grazie all’Azienda Cinelli.

Tra gli anni ’80 e ’90 i produttori decisero di integrare materiali più leggeri, utilizzando l’alluminio, introducendo le prime forcelle a sospensione e gli ammortizzatori, optando per la realizzazione di gomme più large e dentate per offrire un grip ottimale in offroad. Si decise quindi per un nuovo approccio per la disciplina delle MTB (comandi Shimano Rapidfire, Gripshift di Sram, solo per citare le scoperte che ancora oggi vengono impiegate con nuove innovazioni di prodotto).

Gli anni recenti hanno visto una continua evoluzione del mondo MTB e del mondo dedicato alla strada: da un lato con tecnologie provenienti dal mondo del motocross (forcelle, sospensioni, pinze e freni a disco) e con l’avvento delle e-bike, dall’altro con la nascita delle bici a scatto fisso (Fixie) prive di freewheel a pedalata continua e senza freni, una sorta di ritorno alle origini.

Recentemente, i progettisti hanno realizzato nuovi telai (per lo più in carbonio, alluminio, in alcuni casi titanio) destinati sia alle bici da corsa, ma soprattutto alla nuova tipologia “Gravel”, bici polivalenti dedicate alle strade bianche, all’asfalto ed in grado di unire i due generi di pedalata.

Come si può dedurre da questo breve excursus, l’attività di Ricerca, Sviluppo e Innovazione sul  miglioramento delle componenti, ha permesso una sostanziale evoluzione di un mezzo che oggi rappresenta la libertà di movimento, la natura, la soluzione ”green” per raggiungere il benessere mentale e fisico.

Oggi la ricerca ha portato nuovi cambi elettromeccanici e wireless, grazie ai quali la gestione dello sviluppo metrico e della posizione della catena (o della cinghia) viene gestita da meccanismi elettronici alimentati a batteria, per soppiantare i cavi con comandi da input elettrici.

Il veicolo a due ruote è stato oggetto di una rinascita recente: durante la pandemia ha costituito una delle poche misure autorizzate per fare esercizio fisico e, in più, sono anche stati concessi bonus di mobilità (+60% di acquisti rispetto all’anno passato) che ha permesso la riscoperta del bene anche per coloro che per anni ne avevano dimenticato l’esistenza.

Questa rinascita ha causato una notevole penuria di telai e soprattutto di componenti. L’enorme richiesta mondiale, così come quella nazionale, è messa a dura prova dalla fragilità della filiera che non riesce a soddisfare la domanda di accessori, causata in parte dall’aumento del costo della materia prima (acciaio, alluminio, ecc.), dall’altro da difficoltà logistiche post lockdown, nonché dai costi di spedizione dei container. I magazzini sono vuoti ed i rivenditori non possono acquistare. Uno dei maggiori produttori mondiali di componenti come Shimano, avrebbe dei tempi di consegna fino a 400 giorni che costringono le Case a non poter consegnare i telai. Gran parte della produzione è – infatti – localizzata in Asia.

Tale crisi potrebbe aprire uno spiraglio per le aziende italiane, d’altronde, fino a pochi anni fa, i brand nazionali erano leader di mercato e anticipatori di tendenze (solo per citarne alcuni: Bianchi, De Rosa, Colnago Pinarello, Wilier), con reparti di R&D capaci di lanciare prodotti che hanno segnato il mercato per anni, come l’azienda Campagnolo. Tale invito a far rinascere la produzione italiana è stato lanciato da ANCMA (Associazione delle Industrie delle due ruote) al fine di spingere il governo italiano ad intraprendere azioni volte all’incremento delle misure in favore dei produttori nazionali.

Il ciclo virtuoso comunque non si limita solo al boom economico del settore, ma si spinge fino all’influenza che essa ed i suoi utilizzatori stanno portando sui piani regolatori delle città, con la nascita di ciclabili pop-up. In Italia, per ora, si contano circa 200 km di nuovi tratti stradali dedicati alle bici, in Europa ne sono stati annunciati circa 2300 km. Nei piani urbani di mobilità sostenibile –secondo Legambiente- si menzionano oltre 2626 km di nuove piste ciclabili da sommare ai 2341 km già esistenti.

Le regioni italiane hanno preso seriamente la sfida economica e le opportunità dettate dall’incremento del cicloturismo tanto che oggi, due territori agli antipodi (la Provincia autonoma di Trento e la Regione Calabria), sono state selezionate “capitali” del viaggio in bici 2021 ex aequo con l’Oscar Italiano del Cicloturismo 2021, dalla giuria dell’Italian Green Road Award. Qui si parla di piste o circuiti integralmente o semi dedicate ai ciclisti che tagliano in due le regioni, attraversando riserve e parchi naturali.

…e tutto ciò, non dimentichiamolo, è una rivoluzione partita da una bozza relativa ad un mezzo imprecisato a due ruote nel XV secolo…

Davide De Sensi
Innovation Consultant – Leyton Italia

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Davide De Sensi

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