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Le grandi aziende sono dinosauri che hanno bisogno di innovazione e la possono cercare al loro interno oppure aprendosi alla condivisione. Con la formula dell’open innovation diventa maggiormente competitivo non chi produce al proprio interno le migliori innovazioni, ma chi riesce a creare prodotti e servizi innovativi modulando al meglio ciò che viene da dentro e ciò che si può ricavare dai player al di fuori del perimetro aziendale.
Sono poche le grandi aziende che hanno una platea di risorse interne talmente ampia e funzionale da non necessitare di uno scambio con l’esterno; anche queste ultime si stanno rendendo conto che i contributi esterni rappresentano uno stimolo significativo e a volte essenziale.
Le organizzazioni devono trovare il loro posto in un ecosistema di nuove partnership, attraverso il quale possono combinare i loro investimenti e sfruttare i loro punti di forza per ottenere di più di quanto potrebbero lavorando da soli.
Un mare, un deserto o una foresta pluviale risulta essere l’insieme di grandi comunità interconnesse, piante, animali e altri organismi, che prendono e alimentano il mondo naturale intorno a loro.
Allo stesso modo, in economia, imprese, industrie, enti pubblici, mondo accademico, imprese sociali, organizzazioni non governative (ONG) e consumatori si connettono e si nutrono a vicenda in un business radicalmente trasformato. Un ecosistema rappresenta una condivisione di responsabilità e di obiettivi, dove attualmente società separate e industrie operano in silos.
È fondamentale guardare oltre le proprie operazioni e attività, per collaborare con tutti gli stakeholder (clienti, investitori, partner, start-up, mondo accademico e governo). L’innovazione tecnologica infatti può nascere ascoltando in primis questo panorama di “clienti”.
Questo approccio all’innovazione permette di reinventare il business model, attingendo a ecosistemi che sono collaborativi, aperti e digitalmente maturi.
Solo chi saprà connettersi con più soggetti possibili, nella scelta delle proprie strategie, riuscirà a innovare davvero, rendendo sostenibile la sua permanenza sul mercato, capendo che non necessariamente il consumatore vuole comprare una macchina, ma sta cercando un modo semplice ed economico per spostarsi da A a B.
Chi innova punta a sconvolgere un modello economico insostenibile basato sulla proprietà di un prodotto e sull’obsolescenza programmata, spingendo verso nuove soluzioni di possesso, di condivisione e di uso as a service.
L’innovazione del proprio business richiede quindi alle organizzazioni di progettare e produrre per i bisogni non solo del proprio cliente, ma per l’intero pianeta, creando beni e servizi che stiano al mondo e non che abbiano solo mercato.
Questo tipo di innovazione, che punta alla sostenibilità della “macchina collettiva” è sostenuta dall’Europa, con misure a fondo perduto in costante aumento, probabilmente perché è l’unica prospettiva che permetterà di sviluppare ancora ricchezza, sana, per imprese che si vogliono sopravvivere nei prossimi 20 anni.
Damiano Fermo
Team Leader Business Developer – Leyton Italia
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