Ricerca, Sviluppo e Innovazione: evoluzione e panorama attuale

  • Di Umberto Roetto
    • 28 Set 2021
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R&D

Innovare è un processo che richiede adattamento e riorganizzazione dei processi produttivi di un’impresa, che può realizzarsi acquisendo nuovi mezzi di produzione e nuove tecnologie.

Uno strumento fondamentale per innovare è rappresentato dall’attività di Ricerca e Sviluppo. Nella definizione dizionariale essa è descritta come “complesso di attività creative intraprese in modo sistematico sia per accrescere l’insieme delle conoscenze, sia per utilizzare tali conoscenze per nuove applicazioni” (Dizionario Treccani).

Essa, richiedendo risorse tecnologiche e umane di elevato livello e presupponendo una componente di rischio data dal mancato ottenimento di risultati spendibili (es. brevetti), è un’attività che non è realizzabile da tutte le imprese. È, pertanto, un settore peculiare sul quale l’economia di un Paese dovrebbe investire risorse proporzionate per assicurare un livello di redditività e di lustro innovativo del proprio sistema produttivo.

Tuttavia, ancora in molti si chiedono: perché investire in ricerca e sviluppo?

La risposta è semplice ma non scontata: nuove conoscenze portano evoluzione nei diversi settori, dalla produzione di beni all’erogazione di servizi innovativi. Da ciò deriva un aumento dei rendimenti, una maggiore competitività e, in ultima battuta, una crescita economica nel medio-lungo termine.

Se ci si concentra sul contesto europeo con l’avvento della globalizzazione negli anni ‘80, la lotta in campo innovativo e tecnologico si è fatta sempre più serrata, anche per le crescenti pressioni delle economie nascenti. Dato tale scenario, l’allora CEE ha quindi deciso di sistematizzare la collaborazione interna nel campo della ricerca, per giungere nel 1984 al finanziamento di ESPRIT, il Primo Programma Quadro (1984-1988) di ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie e dell’informazione.

All’origine di tale iniziativa vi era l’intento di fornire al mondo industriale le tecnologie dell’informazione e di base in grado di accrescerne la competitività, stimolare la cooperazione industriale e creare un terreno fertile per lo sviluppo di normative internazionali.

Dopo lo scoppio della crisi del 2008 gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione hanno conosciuto un considerevole aumento: in tale contesto l’obiettivo era quello di risollevarsi dopo un periodo di forte depressione, puntando, anche attraverso la destinazione di risorse in Ricerca e Sviluppo, alla creazione di un modello europeo improntato al rafforzamento economico e alla salvaguardia da recessioni future.

Qualche anno dopo (2011), viene emanato il regolamento che istituisce il programma quadro di ricerca e innovazioneOrizzonte 2020”. Si tratta dell’ottavo dei programmi quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico ma del primo programma UE a supporto del settore pubblico e privato incentrato sulla necessità di integrare ricerca e innovazione. Nell’ambito di tale importante manovra legislativa l’UE si è posta l’ambizioso obiettivo comune di raggiungere la soglia del 3% di PIL destinato agli investimenti in ricerca e innovazione; ambizioso, si è detto, se si considera l’impiego di appena l’1,77% di PIL al 2007.

Obiettivo raggiunto? Analizzando i dati Eurostat ad oggi disponibili, si osserva come nel 2012 l’UE abbia raggiunto la soglia cuscinetto del 2%, arrivando però nel 2017 a destinare solamente il 2,08% del PIL. Dunque, traguardo vicino ma raggiungibile solo con un ulteriore sforzo. I Paesi maggiormente virtuosi in tale particolare classifica, sempre facendo riferimento ai dati Eurostat (articolo “Gross domestic expenditure on R&D”), nel 2017 sono stati: la Svezia con il 3,33% del PIL, l’Austria con il 3,16% del PIL, la Danimarca con il 3,06% del PIL e la Germania con il 3,02% del PIL.

Per giungere alla soglia del 3% fissata dall’UE, ogni Paese ha stabilito una soglia obiettivo in relazione al proprio andamento economico. Si va dallo 0,5% dell’Isola di Cipro al 4% di Finlandia e Svezia. L’obiettivo dell’Italia, invece, è stato fissato all’1,53%.

Analizzando gli ultimi dati disponibili (Eurostat 2017) solamente tre Paesi hanno superato l’obiettivo nazionale fissato: Cipro (+0,06%), Danimarca (+0,05%) e Germania (+0,02%). L’Italia, sempre stando ai dati 2017, con un investimento pari al 1,37% del PIL, si classifica in una posizione intermedia con un impegno ancora definibile come marginale rispetto non solo ai Paesi storicamente più illuminati ma anche ai Paesi emergenti.

Cosa dire della posizione europea rispetto al resto del mondo?

Come detto inizialmente, nella grande competizione mondiale le imprese sono tenute, pena il loro declino, a divenire sempre più produttive. Se desiderano mantenere o estendere le loro quote di mercato, esse devono per forza di cose innovare i processi produttivi, i prodotti e i servizi offerti; gli investimenti in Ricerca e Sviluppo assolvono a questa finalità.

In tale contesto, l’Europa risulta ancora indietro rispetto alle grandi potenze, persino superata dalla Cina, unica grande nazione rimasta indietro fino al 2015. Se si guarda altrove, considerando gli andamenti dell’ultimo decennio, si trovano situazioni lineari come gli USA, situazioni di decremento come il Giappone oppure situazioni di crescita come la Corea del Sud.

Ricerca e Sviluppo in Italia

Per concentrarsi infine esclusivamente sul quadro italiano, anche l’analisi dei dati più recenti (Istat, “La Ricerca e sviluppo in Italia. Anni 2018-2020”), conferma un trend intermedio, con un investimento pari al 1,43% del PIL al 2019 (leggera crescita) e un investimento di appena lo 0,9% del PIL al 2020 (causa effetto Covid), ancora lontani dai livelli medi europei.

Stando ai dati 2018 (ISTAT), a livello regionale il 68,1% della spesa totale in R&S è concentrato in 5 regioni: Lombardia (20,6%), Lazio (13,7%), Emilia-Romagna (13,0%), Piemonte (11,8%) e Veneto (9,0%).

Con riferimento alle sole imprese, la spesa per Ricerca e Sviluppo supera il 75% nelle citate cinque regioni. In particolare, tra le regioni più virtuose è la Lombardia a contribuire di più alla spesa complessiva (25,2%). Le regioni del Mezzogiorno partecipano con una quota complessiva del 9,3%.

Interessante la composizione della spesa, dove si riduce il peso della ricerca a favore di attività di sviluppo sperimentale che con circa 9,5 miliardi di euro raggiungono il 37,6% della spesa totale.

Una necessità di investire in attività di R&S più prossime all’industrializzazione piuttosto che in attività strettamente di ricerca che risulta ancora più evidente nelle imprese, dove oltre la metà della spesa in R&S è composta dalla componente dello sviluppo sperimentale (8,6 miliardi, pari al 54,2% della spesa totale).

In riferimento ai settori di attività il primato è detenuto dal settore della fabbricazione di macchinari ed apparecchiature, seguito da quello di fabbricazione di autoveicoli.

In conclusione, si può dire che ricerca e sviluppo rappresentino un contesto ancora bisognoso di più massicci interventi di sostegno pubblico. Questo, se è vero sul fronte europeo, lo è ancor di più su quello italiano. Rimettere al centro Università e istituzioni pubbliche nel loro ruolo di finanziatori e far leva sulle interrelazioni che numerose filiere produttive possono intessere, possono risultare le chiavi di volta per invertire la rotta e utilizzare con maggior cura il patrimonio umano e scientifico dei ricercatori.

Umberto Roetto
Manager Business Innovation Analyst – Leyton Italia

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Umberto Roetto

Manager Business Innovation Analyst

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