L’open innovation: un modello di gestione della conoscenza che descrive processi di innovazione aperta

  • Di Alberto Malerba
    • 17 Dic 2020
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Open Innovation

Le imprese sono di fronte ad un salto tecnologico di carattere storico e devono imparare a gestire la crescente velocità del cambiamento dei mercati: possiamo dire che concetti come Impresa 4.0 (quasi 5.0, semi citando un capolavoro del cinema italiano nel 1984), digital transformation, 5G, green e sostenibilità e altri ancora, sono sulla bocca di tutti ed hanno, come sfondo comune, il bisogno di fare innovazione.

Da sempre il metodo ritenuto migliore per innovare è stato quello di investire in Ricerca & Sviluppo e nell’innovazione tecnologica; nell’ultimo decennio molte grandi imprese hanno ritenuto di accelerare il loro processo di rinnovamento acquisendo start-up e favorendo la nascita di un eco-sistema dell’innovazione da inglobare e, sovente, fagocitare nel proprio contesto.

Ma siamo sicuri che queste due strade, in modalità integrata ancorché disgiunta, siano sufficienti per produrre un reale cambiamento e un effettivo riposizionamento competitivo sul mercato?

Le aziende, oggi, per essere moderne e vincenti (con continuità), devono considerare altri due fattori/ingredienti della ricetta “ideale” per l’innovazione:

  • la consapevolezza che innovare deve far parte della vita quotidiana d’impresa;
  • la continua condivisione e stimolazione della cultura aziendale.

È evidente che il valore dell’impresa si crea focalizzando l’innovazione come parte essenziale del business.

Ciò premesso, tra i nuovi modelli di generazione dell’innovazione il più conosciuto è quello individuato e descritto per la prima volta dall’economista californiano Henry Chesbrough nel saggio del 2003 “Open Innovation: the new imperative for creating and profiting from technology”.

Egli partì dall’analisi di alcune multinazionali del settore high-tech, ponendo l’attenzione sulla trasformazione dei modelli di innovazione tradizionali (“closed innovation” o lineari) verso nuovi paradigmi che obbligano le imprese a ricercare l’innovazione al di fuori dei propri i confini (“Open Innovation”).

Chesbrough scriveva che: «L’innovazione aperta è un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, e accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche» (Chesbrough, Open Innovation: Researching a New Paradigm, 2006).

Nel modello di Chesbrough le nuove idee non nascono unicamente da conoscenze e competenze interne all’azienda, ma anche, e soprattutto, da quelle esterne.

A differenza del passato, le aziende (di ogni dimensione e settore) devono avere un atteggiamento costante di apertura all’innovazione, in termini di rapido recepimento dei cambiamenti e di indirizzamento del proprio know-how verso lo sviluppo esecutivo dell’idea, essendo anche disponibili a cambiare i propri modelli di business sempre più basati su combinazioni di conoscenze e competenze diverse.

Oltre alle nuove tecnologie sopra citate, la globalizzazione, la mobilità del mercato del lavoro, l’aumento dei costi di sviluppo di nuovi prodotti, l’accorciarsi del ciclo di vita degli stessi, l’affermarsi di modelli organizzativi fondati su relazioni di filiera e su alleanze strategiche devono indurre i manager a considerare l’innovazione come un concetto legato alla contaminazione di idee, alla nascita di nuove relazioni orizzontali e ai network di imprese.

I risultati di questi nuovi flussi bidirezionali di conoscenza contaminano positivamente il processo innovativo interno e possono contribuire alla creazione di nuovi mercati, rendendo i confini aziendali paragonabili a una membrana permeabile, in grado quindi tanto di assorbire quanto di diffondere innovazione.

In concreto, i numerosi strumenti a sostegno dell’Open Innovation possono interessare sia le fasi iniziali di creazione, generazione e valutazione delle idee che quelle di implementazione (o execution) e di commercializzazione); essi possono variare a seconda della direzione dei flussi di conoscenza attivati, generando una distinzione tra due specifici approcci – Inbound e Outbound – e classificandoli in due macro-categorie:

Inbound: l’approccio si basa sull’implementazione di fonti esterne per generare innovazione all’interno dei confini aziendali. Gli strumenti più comuni sono:

  • collaborazioni con università e centri di ricerca;
  • partner scouting;
  • corporate venture capital;
  • call for idea e hackathon;
  • creazione di incubatori e acceleratori aziendali.

Outbound: quest’ultimo invece si basa sulla esternalizzazione delle innovazioni generate all’interno dell’impresa. I principali strumenti sono:

  • Joint Venture;
  • licensing dei prodotti;
  • creazione di spin-off aziendali;
  • vendita di brevetti.

Oggi il modello di innovazione individuato dall’economista californiano ha quasi venti anni e l’attenzione verso questo nuovo approccio strategico e culturale da parte di PMI e Start-Up sta crescendo sempre di più. Sono ormai tantissime, infatti, le imprese che mettono l’Open Innovation al centro delle proprie politiche aziendali per creare valore e competere meglio sul mercato, grazie all’adozione di un mindset aperto all’innovazione collaborativa da parte dal top management e alla diffusione di una cultura imprenditoriale che passi anche dalla motivazione dei dipendenti.

Un’ultima, importante considerazione: l’innovazione si sta orientando verso nuovi servizi digitali, sostenibili e verso prodotti innovativi sviluppati in tal senso.

I processi di innovazione stanno includendo le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: ecologica (planet), economica (profit) e sociale (people).

Queste tre dimensioni trovano articolazione nei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, con particolare focus sul Green New Deal.

Alberto Malerba
Innovation Sales Support – Leyton Italia

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Alberto Malerba

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