Start up post-seed: conoscere i NON clienti per sviluppare il business

  • Di Marco Di Pilla
    • 22 Lug 2021
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Start-Up

Chi sono i tuoi clienti?
Ad oggi, la risposta a questa domanda racchiude uno dei principali errori commessi da parte di tantissime startup in fase di post-seed (ottenimento del primo round di finanziamento) che si affacciano sul mercato per testare la validità del proprio prodotto.

Moltissime startup, infatti, segmentano e analizzano il mercato di riferimento basandosi sulla demografia dei clienti o sulle caratteristiche e funzionalità dei propri prodotti. Ed è proprio qui che risiede l’errore: classificare il target audience in base ai propri prodotti dando per scontato che l’offerta sia non solo esaustiva di tutti i bisogni che i consumatori possono avere, ma persino descrittiva della tipologia di clienti che si intende attrarre.

Niente di più sbagliato. I consumatori individuano, scelgono e acquistano i prodotti che rispondono meglio alle loro necessità, ai loro problemi, a motivazioni di gratificazione personale e ai vantaggi che possono ottenere.

Infatti, in linea di massima possiamo inquadrare tre istanze all’interno di un’azienda:  quella che riguarda l’utilizzo dei prodotti acquistati, quella che riguarda l’ambito tecnico e le relative specifiche e, infine, quello che riguarda gli aspetti più prettamente economici (come per esempio il procurement).

Utilizzo del prodotto, tecnologia, economia: la combinazione di questi tre elementi determina l’intenzione all’acquisto ed ognuno di loro, quindi, si configura come uno step fondamentale da affrontare e superare nel percorso di conversione del cliente.

Se in un’azienda piccola queste competenze sono riunite, in una più grande e strutturata, invece, spesso fanno capo a dipartimenti completamente diversi, composti da persone con background talvolta diametralmente opposti.

Startup Post-Seed: Jobs To Be Done

Per una startup oggi l’unico modo possibile per riuscire a segmentare i clienti modo efficiente e scoprire tutti i dati utili a costruire la giusta offerta, è  mappare i “Jobs to be done”. Per chiarire questo concetto utilizziamo un esempio semplicissimo e reale (famoso nella letteratura dei Jobs to be done e consigliamo di visitare Medium si questo argomento): una catena di fast food desiderava aumentare le vendite di frullati. Per farlo decise di segmentare i propri clienti per individuare le caratteristiche demografiche dei consumatori di frullati per poi chiedere a loro di rispondere a un questionario che avrebbe indicato quali gusti (caratteristiche) dovesse avere un frullato per essere più attraente, desiderabile.

Fino a qui nulla di nuovo, sembra molto in linea con come l’approccio tradizionale utilizzato fino ad oggi nei modelli classici che derivano dalla letteratura, no?

Questo lavoro di analisi, però, non restituì i risultati sperati in termini di vendite. Bisognò intervenire su un piano differente, ed  è così che studiando di persona, sul campo, il comportamento di chi acquistava un frullato davanti i vari fast food, ci si poteva rendere realmente conto che questo prodotto era venduto principalmente di mattina e consumato all’esterno, lontano dal locale da persone in abbigliamento da ufficio.

Si decise allora di intervistare queste persone, ottenendo dati realmente rilevanti sul consumo dei frullati, e si scoprì che il motivo principale per cui i clienti effettuavano l’acquisto era “farsi compagnia” nella strada verso il lavoro e nelle ore che li separavano dal pranzo. Con questo esperimento, Clayton Christensen – esperto di jobs to be done, ha portato un’innovazione nel proprio modello di business della catena di fast food e sviluppato le vendite empatizzando con il cliente.

Cosa possiamo trarre da tutto ciò?

Non erano attinenti i criteri di scelta legata al gusto o al colore del prodotto e, soprattutto, i veri competitor del frullato non erano altri venditori di frullati, ma prodotti che potessero garantire un consumo graduale (consumarlo con calma sulla strada del lavoro) e che fossero maneggiabili con una sola mano, considerando che l’altra era occupata a sostenere, per esempio, la valigetta del lavoro.

In base a queste indicazioni fu possibile rendere l’esperienza del frullato migliore, aumentandone la durata (quantità di prodotto) e perfezionando l’ergonomia del packaging, oltre che modificando il prodotto originario aggiungendo frutta e ingredienti complementari tipici della colazione.

Sarebbe mai stato possibile risalire a queste informazioni fondamentali attraverso i criteri demografici? Sicuramente no: la prima regola per comprendere i clienti è empatizzare con loro, studiarne il completamento senza preconcetti. E’ necessario entrare nella sua vita e comprendere non cosa acquista, ma perché lo acquista, come quel prodotto si rivela d’aiuto o supporto.

Chi NON è il tuo cliente?

Tantissime volte quando si parla di start-up, la vera criticità è che essendo estremamente tecniche e concentrate sul valore aggiunto nello sviluppare un prodotto, quasi ossessionate dal voler creare un prodotto invincibile, che ci si dimentica chi sia è il giusto interlocutore/cliente ideale o, almeno, chi NON lo è.

Questo punto è molto importante perché influisce sull’efficacia, credibilità, esperienza e velocità di impatto del prodotto. Per una startup è fondamentale, nelle fasi iniziali, partire dalla comprensione di chi non è il cliente target per riuscire a massimizzare ed efficientare ogni aspetto e per evitare di disperdere tempo, energia e costi. Il time to market e la velocità con cui “si fanno cose” è vitale per la sopravvivenza della startup e generare i primi fatturati con i nostri primi clienti.

E tu, ti sei mai posto questa domanda?

Se non l’hai fatto, dovresti farlo: la comprensione e l’empatia con “i non clienti” è fondamentale per scoprire perché i motivi per cui non lo è, evidenziando in che cosa hai fallito rispetto ai suoi Jobs to be done e cosa potrebbe essere fatto per avvicinarli a te. In altre parole quindi, per le startup questo è un passaggio essenziale per ampliare realmente il proprio business.

Rimane da considerare comunque, che i “non clienti” non sono tutti uguali e le motivazioni che li spingono a non comprare i tuoi prodotti possono essere diverse. L’esistenza di questi segmenti di potenziali consumatori generalmente non viene nemmeno percepita dalle aziende che utilizzano i classici metodi di segmentazione. Per sfruttare tutti questi potentissimi insight, arma potentissima per le startup, è fondamentale slegarsi dal prodotto che si è creato.

Per concludere? ..oltre a sviluppare il prodotto e cercare di aumentare le vendite, il consiglio è di empatizzare con i potenziali clienti, trovare chi non lo è e farsi supportare da chi può far recuperare tempo e fornire le giuste expertise su come garantire la crescita della startup, raggiungere i primi  clienti e poi aumentarli esponenzialmente.

In Leyton Start-Up ci occupiamo di aiutare fondatori ambiziosi e Startup consolidate di successo. Abbiamo creato una community dedicata – che al momento conta già più di 200 Startup innovative e numerosissime aziende strutturate – attraverso la quale i nostri Clienti hanno la possibilità di identificare ed entrare in contatto con i Partner più adatti alle loro esigenze, condividendo know-how ed expertise e creando sinergie per la loro crescita.

Marco Di Pilla
Leyton Start-Up Manager – Leyton Italia

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Marco Di Pilla
Marco Di Pilla

Leyton Start-Up Manager

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